Tra i fuggitivi dal gulag nel film The Way Back
c’è anche un ingegnere americano, Mr
Smith, roso dal tarlo di essere andato in Unione Sovietica con il figlio,
ucciso poi dalla polizia segreta russa.
Che ci fossero americani che emigrarono nella
madrepatria comunista per questioni ideologiche questo lo sapevo. Un po’ da
tutta l’Europa avevano ceduto al
miraggio sovietico. Molti, dall’Italia, erano emigrati per scappare dal
fascismo, e qualche centinaio era sfuggito
ai mandati di cattura per omicidio accaduti nel dopoguerra, come quelli nel triangolo della morte emiliano.
Ho scoperto un libro, I Dimenticati di Tim Tzouliadis (Longanesi) che narra la storia
degli americani emigrati in Russia. Non però di chi era andato per scelta politica,
ma di migliaia di persone con figli e mogli che erano approdati sul suolo russo
per lavorare.
Nel 1929 dopo il crollo della borsa negli Usa
scoppiò la grande depressione: la crisi economica colpì la nazione e moltissime
persone restarono senza lavoro. Henry Ford stava per smantellare la fabbrica di
Detroit, quando Stalin si offrì di comprarla e di trasferirla in patria. Il
magnate pare ci guadagnò 40 milioni di dollari in oro.
Stalin aveva
bisogno di manodopera qualificata per industrializzare la Russia. Fu
così che in piena crisi economica, i cittadini americani sollecitati dalle
offerte di lavoro russe emigrarono. Sicuramente furono migliaia e migliaia, ma
un conto vero e proprio non è stato mai stilato. Meccanici, idraulici,
ingegneri, tecnici, boscaioli, semplici operai, camionisti, minatori, etc.,
varcarono l’oceano in cerca della terra promessa. Portarono con loro anche il
baseball. A Mosca nacquero quattro squadre che giocavano nel parco Gor’kij. Fu
anche aperto un giornale di lingua inglese con 40 redattori. Gli americani non
si stabilirono solo a Mosca, ma a pioggia nel resto della nazione dove serviva
manodopera.
(1 - continua)
Nessun commento:
Posta un commento