Con la conferenza di Yalta, Stalin pretese il
rientro in patria dei militari russi prigionieri in Europa. Moltissimi di essi
si rifiutarono, in Inghilterra ad esempio, ma furono passati per le armi dagli
inglesi. Questo avvenne anche per i russi nei campi di lavoro statunitensi. Molti
russi, sapendo a cosa andavano incontro si suicidarono.
Churchill e
Roosevelt sapevano che fine avrebbero fatto i militari sovietici. Stalin
considerandoli degli inetti li mandò direttamente nei gulag.
Gli stessi ebrei polacchi che si erano salvati dai
nazisti finirono direttamente nei campi di Stalin. Insieme ad essi tedeschi,
ungheresi, lituani, lettoni, moldavi, zingari, estoni, giapponesi ed italiani.
I nostri alpini trovarono nei campi di sterminio
altri connazionali scappati dall’Italia e dal fascismo. Erano tutti comunisti.
Come documenta Eugenio Corti ne Il
Cavallo Rosso (edizioni Ares), Togliatti era al corrente di tutto ciò ma
non mosse mai un dito per la loro liberazione.
Roosevelt a Yalta sapeva che molti americani andati
a lavorare negli anni trenta in Urss erano stati internati, ma neppure lui si mosse
in loro favore. Le notizie erano certe, molti cittadini americani si recavano
all’ambasciata Usa a Mosca per denunciare le scomparse di familiari o amici.
Ciò non ebbe nessun effetto sulla politica americana in Russia che affermava
che molti erano cittadini russi. Gli era stato ritirato il passaporto ed erano
diventati sovietici inconsapevolmente e forzatamente.
Gli stessi ambasciatori succedutisi a Mosca fecero
spallucce, anzi uno di loro J. Davies (nella capitale dal 1936 al ’38) scrisse
un libro in odore di adorazione verso Stalin rimpinguando le tasche del
dittatore acquistando tesori artistici russi.
(5 - continua)
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