lunedì 19 dicembre 2011

Georges de la Tour
















“«L’arte presenta [rende presente] la bellezza, lo splendore, la gloria, la maestà, il plus che è nelle cose e che si ritira quando dite che la luna è solo terra e le nuvole sono solo acqua». Queste parole di padre Bernard Lonergan identificano con chiarezza l’esperienza dell’incontro con l’opera d’arte. In modi diversi, l’opera d’arte si “impone” all’attenzione di ogni uomo e lo fa con forza proprio perché gli impedisce di dire che «le nuvole sono solo acqua». Da un certo punto di vista non ci sono premesse necessarie per provare il contraccolpo della bellezza: basta essere uomini! L’arte impone sensibilmente all’attenzione dell’uomo il plus che è nelle cose. Per questo è presenza tout court. Quando è autentica non è mai principio di evasione, ma di penetrazione nella profondità di tutto ciò che esiste. In un certo senso, è una conoscenza per eccesso, e non certo per difetto, della realtà. L’arte, quindi è, in se stessa, simbolica (l’etimo della parola greca syn-ballo dice un mettere insieme), riporta ad unità ciò che in qualche modo era stato diviso, sana le rotture.
È pertanto liberante: la sua potenza simbolica aggancia il reale perché lo lascia essere presenza. Essa parla da sola. Di per sé non ha bisogno di interpretazione e parla a tutti; per sua natura, mette in rapporto. Libera il soggetto e intensifica le relazioni. Si comprende allora perché la Chiesa, lungo la sua storia bimillenaria, abbia vissuto sempre una sorta di connubio con l’arte. E ne sia stata magnanimo committente.”
Cardinale Angelo Scola.
da Avvenire - 2 novembre 2011

Basta essere uomini per provare il contraccolpo della bellezza. Uomini veri, attenti alla realtà come segno di qualcos’Altro che traspare.
Perciò come non rimanere a bocca aperta guardando dal vero dei quadri riprodotti in fotografia? Come non commuoversi?
Questo mi è successo andando a rimirare i due dipinti di Georges de la Tour esposti in mostra a Palazzo Marino a Milano, L’Adorazione dei pastori e San Giuseppe falegname.
Non sono un critico d’arte e neppure un gran conoscitore della materia, certo però che sono stato educato a guardare la bellezza.
Tutti e due i quadri mi hanno colpito per la luce che trasmettono, in foto o nei cataloghi sono di una luce più spenta. Dal vero trasmettono una luminosità che si libera dai dipinti, nonostante vi sia solo la fiamma della candela vi è una esplosione di luce.
L’Adorazione dei pastori ha presente cinque persone, Maria assorta a mani giunte, due pastori, una nutrice con una scodella tra le mani e San Giuseppe che ripara dalla luce il piccolo Gesù. Tutti gli occhi dei personaggi guardano il neonato. Maria è seriosa, sa a cosa andrà incontro il suo figliolo. Tra Lei e il primo pastore, un agnellino il cui musetto anela al bimbo. Il secondo pastore è come in ombra e sembra riverire il neonato toccandosi la falda del suo cappello. San Giuseppe ha un moto di tenerezza di coprendo la fiamma della candela per non disturbare Gesù. Questi è il centro della luce. Ha gli occhi chiusi, sembra dormire, è tutto infagottato, segno di nascita ma anche al tempo stesso di morte, avvolto in un sudario.

San Giuseppe falegname ha Gesù con in mano la candela che illumina il suo viso che fa esplodere il dipinto di luminosità. La mano del piccolo che cura la fiamma è quasi trasparente avvolta dall’alone luminoso. I suoi occhi guardano il viso del padre in parte illuminato. San Giuseppe ha lo sguardo attento sul suo lavoro, sta forando con un arnese a forma di croce un pezzo di legno squadrato, che anch’esso rimanda alla croce, tenendolo fermo con il suo piede. È come se pensasse al compito a cui è destinato il figlio.
Per terra una mazzuola, una lima e un bellissimo ricciolo di legno. Su questi due oggetti riverbera un riflesso di luce. Così come sul ginocchio e sull’unghia del pollice del piede sinistro del ragazzo.