venerdì 26 giugno 2020

Gambit – Una truffa a regola d’arte/ Sorpresa e risate nel film scritto dai Coen Bros




Oggi vi propongo sempre un film con a tema la pittura, una pellicola non impegnata, un divertissement. In questo film l’oggetto del contendere è un quadro di Monet, i Covoni di fieno al tramonto. Monet tra covoni doppi e singoli dipinse venticinque tele, in varie stagioni e nelle varie ore del giorno con una luce diversa. Una di queste tele con due covoni è stata battuta all’asta nel 2019 per quasi 111 milioni di euro. Nei giorni precedenti all’asta di Sotheby’s la previsione era che si sarebbero raggiunti i 55 milioni, ma invece si è arrivati a un record inimmaginabile e a un compratore sconosciuto. Nel film che vi propongo, Gambit – Una truffa a regola d’arte (2012), il quadro in oggetto viene valutato 20 milioni di dollari, una bazzecola rispetto agli euri spesi nella realtà nel 2019.
Il film è un remake di Gambit – Grande furto al Semiramis del 1966 interpretato da Shirley MacLaine e Michael Caine, mica paglia, ma il soggetto della pellicola odierna è stato scritto dai geniali fratelli Ethan e Joel Coen (li adoro) che hanno attualizzato la storia ribaltandola completamente. Se nel primo film l’oggetto era una statua con una finta e bella cinese, qui si è passati ai quadri di Monet. Aggiungeteci come protagonisti Colin Firth, Cameron Diaz, Stanley Tucci e il cattivo di Die Hard e Robin Hood, Alan Rickman, e portiamo a casa un buon prodotto.
Per convincervi di questo dovreste provare ad ascoltare solo l’audio del film per capire come è stato mirabilmente scritto dai Coen Bros.
Il film è veramente divertente e non scade mai di tono. L’esperto d’arte Harry Dean (C. Firth) lavora a Londra per l’editore plurimilionario Lionel Shabandar (A. Rickman). Cattivone come negli altri film, tratta il povero Harry come uno straccio. Questi ama l’arte in maniera totale, si è comprato un piccolo dipinto, il cui acquisto lo ha lasciato al verde. Ha l’aplomb inglese sia nel carattere che nelle espressioni. Completamente diversa è l’interpretazione di Cameron Diaz, cowgirl texana, sveglia e disinibita. Che c’azzeccano?
Una semplice truffa, Harry escogita un semplice piano, scova in Texas PJ Puznowski (C. Diaz), una nipote del soldato americano che recuperò nel caveau dell’ufficiale SS tedesco Hermann Goring il quadro di Monet dei Covoni al tramonto, mentre l’amico soprannominato il Maggiore, ne dipinge una copia esatta e PJ la spaccia come vera. Tutto sotto il controllo di Harry. Lionel abbocca, ha in villa i Covoni dipinti con la luce del mattino e acquistati a un’asta battendo il suo nemico giapponese, magnate dell’editoria e tv asiatica.
Lionel è dispotico e sopra le righe, Harry dimostra senza palle e invece PJ si rivela furba anche se sgraziata. Il cattivone organizza un festone in villa dove un esperto tedesco, interpretato da Stanley Tucci, dovrà confermare l’autenticità del Monet, affiancato ai Covoni del mattino. Questo avviene, ma è Harry a svelare che è invece una riproduzione. Perché? E qui sta il bello della truffa e del finale del film, che non anticipo. Un bel colpo di scena.
Un film divertente e ironico, il cui soggetto veste alla perfezione i vari personaggi del film. Esilaranti le scenette di Harry in mutande, ma in giacca e cravatta nelle varie camere del prestigioso Hotel Savoy di Londra, così come l’antifurto nella sala della villa dove vi è il Monet di Lionel L’antifurto è un leone vero e proprio che viene domato dalla cowgirl.

martedì 23 giugno 2020

IL TORMENTO E L’ESTASI/ Il film sull’arte che diventa offerta e bellezza



Sono spesso a Roma per lavoro in zona Vaticano e quando son libero vado in San Pietro. Da buon portoghese salto le file delle comitive dei giap e appena entrato in Basilica mi soffermo sempre davanti alla cappella della Pietà. Devo dire che il mio cuore di pietra quasi sempre si commuove per il significato e per la bellezza che l’opera esprime: il volto di Maria e di Gesù; i dettagli delle mani, delle vene e delle pieghe delle vesti.
Quando vidi invece per la prima volta nella chiesa di San Pietro in Vincoli la statua del Mosè ebbi un sussulto di timore: maestosa, grande, espressione di forza, con i due cornini sulla testa di cui non mi capacitavo.
Parliamo dell’autore di queste opere, Michelangelo Buonarroti, questa volta non come scultore ma come pittore. Il film che vi propongo oggi è Il tormento e l’estasi (1965) diretto da Carol Reed in cui viene rappresentata la realizzazione degli affreschi della volta della Cappella Sistina. Il film è una produzione Usa/Ita, la sceneggiatura è tratta dal romanzo di Irving Stone ed è quasi tutta vera. Il nucleo centrale della pellicola è rappresentato dal rapporto di Michelangelo con Papa Giulio II, dai loro caratteri, certezze, titubanze e dalla loro personale fede in Dio.
Charlton Heston, dopo aver interpretato I dieci comandamenti (1956) e aver vinto un Oscar con Ben Hur (1959) si raffronta con Rex Harrison, anch’egli vincitore della statuetta con My Fair Lady (1964). Il film è un kolossal: il budget, le scenografie, la fotografia, gli attori, la grandezza delle risorse evidenziano l’intento di un film dalle intenzioni grandiose, e lo è stato nonostante il parere negativo dei critici sempre incentrati sull’estetica e mai sul significato. La Cappella Sistina è stata ricostruita in studio a Cinecittà poiché il Vaticano, saggiamente, non autorizzò le riprese in un luogo sacro.
Michelangelo, già affermato scultore, giovanissimo aveva scolpito il capolavoro della Pietà e stava lavorando alle statue per la tomba del Papa. Questi decise in maniera unilaterale di affidare gli affreschi della Sistina al Buonarroti. Il nostro si rifiutò, si sentiva di esser solo uno scultore, ma dovette accettare. Iniziò il lavoro, lo interruppe, distrusse gli affreschi e scappò dalla capitale. Ebbe poi una visione, ritornò a Roma e iniziò il grande lavoro che termino in quattro anni. Questa la sintesi del film, in cui però s’intrecciano le due eccezionali figure, spesso in contrapposizione, ben evidenziate nella pellicola, sia dalle maestose interpretazioni dei due attori, ma anche dalla sceneggiatura e dai dialoghi.
Papa Giulio II della Rovere era un uomo deciso, forte di carattere, lasciato all’iconografia storica come più devoto alla guerra che all’incenso, combatté duramente i francesi, ma era cosciente che in quel momento storico la Chiesa dovesse essere una potenza militare, non solo per fini temporali, ma perché il Suo messaggio fosse rispettato e potesse arrivare a tutti. Lungimirante e intuitivo affidò gli affreschi a Michelangelo. Si scontrò con lo scultore, lo rimproverò, lo minacciò, ma il 31 maggio 1512, dopo quattro anni di lavori ammirò lo splendore dell’opera finita e vi celebrò la preghiera dei Vespri.
Alla riluttanza iniziale del Buonarroti risponde: – Non è un impegno è una prova di fede.
A opera conclusa afferma: – Io volevo un affresco, lui mi ha dato un Miracolo.
Michelangelo pare fosse di carattere molto irascibile, presuntuoso, non avvezzo all’obbedienza, irrispettoso, difficile perciò lavorare con lui. Senza peli sulla lingua quando il Papa gli chiedeva: – Quando lo porterai a fine? lui rispondeva a tono: Quando avrò finito!
Due personalità carismatiche, Giulio II con il chiaro compito missionario della Chiesa, Michelangelo con l’affermazione del proprio lavoro, non come estetica fine a se stessa, ma come significato espressivo dell’opera che realizzava.
Il film mette perciò in evidenza la vocazione a cui entrambi i personaggi furono chiamati dal buon Dio. Il Papa avrebbe voluto essere un artista, mentre il Buonarroti avrebbe voluto solo scolpire. Ma capì che realizzare la Genesi oltre che essere una prova di fede era la possibilità di mettere a servizio i propri doni: – Dio mi ha dato queste mani per creare.
E la vita lo portò, lui grande scultore, a dipingere due capolavori, la Genesi e il Giudizio Universale.
Quello che accade nella nostra vita non lo decidiamo noi, dobbiamo andarci dietro e il Papa e l’artista, soprattutto questi, a malincuore inizialmente, vi aderirono.
Michelangelo capì che doveva realizzare il lavoro da solo, fu aiutato solo da garzoni, si sfinì psicologicamente e soprattutto fisicamente ammalandosi, ma aveva la consapevolezza che quello era il suo personale compito in un’immedesimazione totale. Affrescò 430 corpi sui 1.010 metri della superficie della volta. Corpi ignudi, muscolari, forti, espressione dell’origine dell’uomo creato da Dio senza peccato e perciò non contaminati e quindi senza vestiti. I cardinaloni restarono allibiti guardando i lavori, ma Michelangelo tenne testa loro rabbiosamente, per lui tutto era nato da Dio, e dal sacrificio di Cristo sulla croce. Li zittì e Giulio II acutamente comprese che quel duro lavoro era il mezzo con cui Michelangelo metteva tutto se stesso in rapporto con Dio, era perciò una abnegazione, un sacrificio e un’offerta spirituale e fisica nel donarsi al Padre. Da qui il titolo del film, il Tormento (Agony nell’originale), una sua vera e propria via Crucis interiore. L’Estasi è la bellezza di Dio riverberata nel creato. Tutto questo è ben espresso nel film.
Ancora una cosetta, tra gli attori abbiamo un già affermato Alberto Lupo, un giovanissimo e bellissimo Tomas Milian nei panni di Raffaello Sanzio e un garzone sbarbato interpretato da Andrea Giordana.
Il film lo trovate solamente in dvd e su qualche sito streaming privato.