mercoledì 18 luglio 2012

The Way Back






I motivi per andare a vedere al cinema The Way Back sono tanti e tutti buoni.
Ho letto la critica de L’Espresso che massacrava la pellicola perché la storia, tratta da un libro biografico, forse non è vera e perché è un film che manca di senso.
Sulla prima conclusione penso sia un problema di chi l’ha scritta (l’autore è ormai però morto) e non del film. Sulla seconda, rispondo che il giornalista scalfariano probabilmente ha dormito durante la proiezione. Poi spiegherò il perché.
Peter Weir ha girato dei film indimenticabili: Master & Commander, The Truman show, L’attimo fuggente, Witness. Il testimone, Un anno vissuto pericolosamente, Gli anni spezzati (Gallipoli), etc.
Tutti film significativi, impegnati, non banali, anzi drammatici. Tutti con un senso e la persona umana in quanto tale come protagonista del racconto.
Partiamo dalla fotografia di The Way Back. Bellissima. Inquadrature da incorniciare come la Siberia innevata, il Tibet, le vette himalayane, il deserto dei Gobi, i tramonti. Non per nulla il National Geographic è coproduttore.  Bisogna tornare al 1981 quando Peter Weir girò Gli anni spezzati  (Gallipoli) e lì scopriamo, in tempi non sospetti, che il regista immortalava alla grande i paesaggi australiani.
Ma gli attori, sono quasi sempre presenti nell’incontaminata fotografia paesaggistica, che non è ridotta solo a bella cartolina.
Quando poi si passa ai protagonisti, troviamo dei primi piani intensi. Totali paesaggistici incantevoli e volti di un’espressività e bellezza quasi caravaggesca.
Passiamo ora alla siesta del giornalista scalfariano. Si è perso il significato del film. Qui lo riassumo in tre parole. Libertà, amicizia, perdono.
Quando si è imprigionati come nel gulag siberiano, non si può non pensare alla libertà. È un desiderio  reale ed obbiettivo, diceva Solzenicyn, da cui non si può prescindere.
I sei fuggitivi, all’inizio, non possiamo considerarli amici tra loro, ma pian piano, camminando insieme e con l’aiuto della giovane polacca che incontrano nella fuga, lo diventano. Si aspettano e si sorreggono nella fatica fisica, nel trovare da bere e da mangiare. Si confortano nella morte.
Tra i fuggitivi abbiamo un prete con i suoi sensi di colpa, ha ammazzato un ragazzo comunista dopo che gli avevano profanato la chiesa; un americano approdato in Russia per la grande depressione con il figlio, ucciso poi dal regime sovietico. E questo lui, il bravissimo Ed Harris, non se lo perdona. Il fautore della fuga, un ufficiale polacco considerato spia, è stato tradito dalla testimonianza  estorta alla moglie con la tortura, e fugge perché vuole ritrovarla e perdonarla.
Un viaggio di purificazione, come è la vita.
Grandissimo il cast su cui si erge l’interpretazione di Mr. Smith/Ed Harris.
Nota di cronaca, Weir ha avuto come consulente Ann Applebaum, la maggior storica mondiale sui gulag sovietici. Per non dimenticare che comunque il film è un giudizio storico sul comunismo.