lunedì 12 gennaio 2015

American sniper




Ad ottantaquattro anni suonati Clint Eastwood ha sempre in mano un fucile. Quello di  American Sniper con l’attore Bradley Cooper.  Storia vera del cecchino americano Chris Kile, soprannominato  Leggenda, con i suoi 166 centri umani ufficiali.
Dio, patria e famiglia. Non una pecora o un lupo, ma un pastore tedesco che proteggere il suo gregge.
 Parole forti che hanno fatto storcere il naso a molti critici come il  famoso Mereghetti del Corsera.
Un Clint troppo patriottico?  Fesserie. Nessuno si ricorda il divertente dialogo pubblico contro l'interventista Obama e la sedia vuota?                                                                                                                     Bastava poi leggere l'intervista rilasciata a Deaglio sul Venerdì di La Repubblica per accorgersi del filo rosso di empatia che ha legato il vecchio leone del cinema alla vita di Chris Kyle. Un uomo, non un eroe, che ha scelto di servire il paese dopo le Torri Gemelle, che teneva  con sé la Bibbia ma forse non l’aveva mai letta. Non un eroe, ma un soldato che si occupava della sicurezza dei suoi commilitoni, del suo gregge.
Certo un soldato, ma non un esaltato, che quando ha issato forse superbamente la bandiera di The Punisher ha visto morire due suoi compagni.                                                                                                             È sempre la realtà che ti riequilibria.
Un uomo che ha avuto il suo punto di rottura ed è tornato dalla moglie e dai figli.   Un uomo con il suo percorso di vita che lo ha portato a scegliere di continuare ad aiutare gli altri, quelli tornati senza gambe o con turbe psicologiche.
 Non è un film che analizza la psiche del reduce, ma, è il cammino vero di un uomo che alla fine dice: «Sono pronto a incontrare il Creatore e a rispondere di ogni singolo colpo sparato».
Un pastore tedesco che proteggeva il suo gregge, le persone a cui voleva bene. Questo era il suo modus operandi. Ma era anche conscio del male che esiste in una guerra.
Un film non retorico, non spettacolare e neppure sentimentale. E di questo tanto di cappello al vecchio Clint che non contrappone, come forse io avrei maggiormente  accentuato, i cattivi islamici con gli ideali di libertà dell'occidente.                                                                                                                                             Ma qui sta la bravura del regista che si è calato, immedesimato  nel protagonista del film. Eastowood ha ripercorso con i flashback la vita di Kyle, la sua tradizione ed educazione, facendoci cogliere perché un americano arriva a scegliere di andare in Iraq. Il regista ha incontrato il padre di Kyle, ha voluto conoscere l’uomo e il soldato.
Delicata ed intelligente la scelta di non far vedere la sua morte ma di utilizzare le immagini vere della parata funebre.

Un gran film con un grande regista.