venerdì 30 novembre 2018

mercoledì 28 novembre 2018

Tom Clancy con Mark Grenaey - SFIDA TOTALE






Tom Clancy con Mark Grenaey
SFIDA TOTALE
Rizzoli


Un romanzo che all'inizio fatica a prendere ritmo, ma poi non si ferma.
Jack Ryan è il presidente degli Stati Uniti, uomo integro che quando può prega Dio.
Crede nell'amicizia e il suo staff è composto da persone di fiducia.
Chiaramente gli USA sono i buoni, la Corea del Nord i cattivoni e la Cina quella che si adatta a tutte le stagioni.
Un agente americano, ma cinese d'origine, viene infiltrato in una enorme miniera di metalli .... con cui la Corea nordista vuole ricavare piccioli per acquistare testate nucleari che arrivino fino in California.
Al tempo stesso un'agenzia privata di intelligente combina un casino in combutta con i coreani. Durante la visita ufficiale in Messico, Jack Ryan, viene ferito durante un attentato dinamitardo organizzato da un esperto di esplosivi iraniano, da un cartello della droga messicano, coordinati dai cattivi americani che coprono un miliardario affarista e i nordcoreani.
Il tutto s'incrocia con la squadra dei servi segreti americani per cui lavora il figlio del Presidente.
Avvincente e avvolgente.

giovedì 22 novembre 2018

Mettete dei fiori nei vostri cannoni



Mettete dei fiori nei vostri cannoni

mercoledì 21 novembre 2018

L’ISPETTORE COLIANDRO/ La serie “surreale” che fa capire che la vita non è un pozzo nero


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L’ISPETTORE COLIANDRO/ La serie “surreale” che fa capire che la vita non è un pozzo nero
Premessa. Sono un fan sfegatato di Coliandro e dei registi Manetti Bros. La mia critica televisiva sarà sicuramente di parte. Giampaolo Morelli interprete de L’ispettore Coliandro è l’attore feticcio dei fratelli Manetti. Si sono incontrati nel 2005 nel film Piano 17, nel 2006 è iniziata la saga dello scalcagnato ispettore  e da lì in poi non si sono più lasciati: è stato il protagonista dei film Song’e  Napule  e  Ammore e malavita che ha portato  il David di Donatello ai due registi.
La Rai è partita alla grande in questo autunno con le fiction di Rocco Schiavone, I Bastardi di Pizzofalcone e adesso Coliandro, buonissimi gli ascolti e le storie. I libri noir e gialli sono sempre in testa alle classifiche in Italia, via obbligata a realizzare fiction, ma se Mediaset dorme, la Rai è sempre un passo avanti. Ma di fiction parleremo in un’altra occasione.
La figura dell’ispettore Coliandro l’ha inventata il grande Carlo Lucarelli scrivendo inizialmente tre libri e poi le sceneggiature realizzate appositamente per la tv. Per dirla tutta, nell’ultima puntata de I Bastardi di Pizzofalcone, buona parte non è tratta dall’ultimo libro di Carofiglio, indi per cui non penso acquisterò il suo prossimo giallo: la fiction tv ha anticipato la produzione libraria.
Direte: ci propini sempre le stesse cose, le stesse emozioni e considerazioni dal 2016, ma non è così. Innanzitutto la prima puntata di questa settima edizione di Coliandro ha fatto un botto di ascolti, 11% di share con  2.500.000 teste, molto di più degli anni passati e poi… E poi i detrattori mi dicono: scrivi sempre le stesse cavolate positive su Coliandro. È vero, l’ispettore nato nel 2006 in tv non si è evoluto, sempre le stesse frasi, i soliti soprannomi, le identiche battute tratte dai film, eppure sono passati 12 anni. Ma questo è il bello, il nostro ispettore non si deve evolvere, non deve diventare politicamente corretto, deve restare com’è nato. 
A differenza di Rocco Schiavone e del Cinese di Pizzofalcone, lui è nato cazzaro, giuggiolone, sfighé, la macchietta italiana dell’ispettore Callaghan. Probabilmente, anzi sicuramente, non rappresenta la realtà a differenza di ciò che Schiavone e Lojacono vogliono rappresentare con le loro depressioni, le storie personali tristi, con mogli morte, separazioni familiari, angosce, turbolenze psicologiche e morali. Ma è questa la realtà vera? 
Aldilà dei discreti libri di Carofiglio e Manzini, la fiction tv non può rappresentare  la realtà della vita, a meno che si parli di Santi. Meglio un’ora e mezza di situazioni surreali e di rilassamento che ci fanno cogliere che la vita ha le sue contraddizioni ma non è un pozzo nero, perché in fondo dei conti non la gestiamo noi. Per questo secondo me Lucarelli non fa evolvere Coliandro. Però ne ha anticipato i tempi sin dal 2006 in periodi non sospetti: oggi il suo capo è il leghista Salvini, ministro dell’Interno, e direi che la sceneggiatura e i coloriti dialoghi  colgono in pieno il pensiero di molti italiani e il loro voto politico. L’ispettore Coliandro è puro intrattenimento, è puro divertimento e questa è una volontà esplicita del suo inventore, Carlo Lucarelli.
Se invece volete vedere qualcosa di più corposo guardate la fiction La porta rossa, andata in onda l’anno scorso. Bellissima  interpretata magnificamente, soprattutto da Lino Guanciale. Perché l’ho indicata? La sceneggiatura è di Carlo Lucarelli.

lunedì 19 novembre 2018

PICCOLO GRANDE UOMO/ Il west e il mondo che fu dei pellerossa nel film con Dustin Hoffman


PICCOLO GRANDE UOMO/ Il west e il mondo che fu dei pellerossa nel film con Dustin Hoffman

A Milano c’è la mostra che festeggia il 70° anniversario della nascita del fumetto Tex Willer, ranger e capo degli indiani Navajo con il nome di Aquila della Notte. Una vera chicca per gli appassionati di western. Rimango su questo tema. Nel 1970 arrivarono nelle sale cinematografiche tre film: Il Piccolo grande uomo, Soldato blu Un uomo chiamato cavallo. Il fil rouge delle tre pellicole è lo sterminio dei nativi pellerossa d’America.
Negli Stati Uniti, era divampata già dal ‘69 la protesta contro la guerra in Vietnam e sull’onda della contestazioni erano emersi alla ribalta più forti che mai i giudizi storici sull’annientamento delle tribù indiane e l’esproprio delle loro terre e riserve come critica parallela all’ingerenza nel Paese asiatico. In Italia, l’editore Bonelli ci aveva pensato nel 1948 creando la saga di Tex/Aquila della Notte, strenuo difensore della giustizia e delle tribù indiane. A pensar male, forse, il film Un uomo chiamato cavallo si è ispirato (copiato) al nostro eroe bonelliano.
Nel 1964 era arrivato alle stampe il romanzo ”Il piccolo grande uomo”, scritto da Thomas Berger e portato al cinema nel ‘70 dal regista Arthur Penn. Dustin Hoffman interpreta Jack Crabb, che da bambino, insieme alla sorella, viene rapito dai Cheyenne. Crescerà con loro, diventando un giovane guerriero combattendo valorosamente contro altri indiani. Quando i bianchi rompono unilateralmente i trattati, per salvarsi la pelle in uno scontro con la cavalleria americana, si dichiarerà con il suo nome di bianco, J. Crabb. Tornerà nella civiltà, o supposta tale, della frontiera del west. Conoscerà un Dio protestante e la moglie del pastore (una bellissima Faye Dunaway), Buffalo Bill, Wild Bill Hickock, il generale Custer. Farà il pistolero, il commerciante, diventerà un ubriacone.
Dopo varie avventure ritornerà tra i Cheyenne dal suo padre adottivo Cotenna di Bisonte, metterà su famiglia, e vivrà come un indiano. E siamo giunti all’eccidio della tribù Cheyenne dove moriranno sua moglie e suo figlio. Deciso a vendicarsi si arruolerà nell’esercito come scout per uccidere Custer. Non riuscirà nell’intento, ma porterà il narciso maggiore Custer (non era generale) alla disfatta di Little Big Horn.
Grande e bel film, panoramiche e fotografia stupende, interpretato in generale in maniera eccezionale. Il libro e il film trattano un periodo drammatico della storia americana in modo, direi, molto umoristico. Se il film Soldato blu è stato un cavallo di battaglia della sinistra contro l’imperialismo americano, in Piccolo grande uomo il giudizio storico esce chiarissimo, ma è trattato con molto humor. Al tempo stesso si evidenzia la grande cultura e spiritualità del popolo pellerossa, contrapposta alla rozzezza bianca del West, alla cavalleria U.S. Army e ai politicanti americani.
I Cheyenne chiamano loro stessi ”popolo degli uomini”, vivevano pacificamente, pregavano il loro Dio, il Grande Spirito, avevano una concezione della parola data e dell’onore che tra i bianchi non esisteva. Dice Cotenna di Bisonte a Piccolo Grande Uomo: “I bianchi non conoscono il centro dell’universo”. Tutto per gli indiani aveva significato, la natura, gli animali, le stesse tribù nemiche.
Alla fine del film, il capo tribù, nonostante la vittoria a Little Big Horn è cosciente che i bianchi cancelleranno la civiltà pellerossa. È così avverrà. Ultima noticina. Già nel libro e poi anche nel film c’è la figura di un omosessuale, l’indiano amico del protagonista. La libertà sessuale era stata sbandierata già nel ‘68 americano, Woodstock era stato l’anno seguente, Cassius Clay si era rifiutato di combattere in Vietnam e finì in prigione, Nixon nel 1972 diede forfait per il Watergate e poi… Oggi siamo arrivati a Trump che nelle elezioni ha vinto negli Stati che un tempo erano il west.

mercoledì 14 novembre 2018

Gino Vignali - La chiave di tutto


Gino Vignali                                                                                                                    La chiave di tutto                                                                                                             Solferino

Veramente bello questo giallo scritto da Gino Vignali, il socio di Michele, famosi per Zelig.
L’ambientazione è invernale in una Rimini coperta di neve. Il Grand Hotel di Fellini non poteva mancare e qui abita il vice questore Costanza Confalonieri Bonnet, nobile milanese trasferita nella città romagnola.
Viene trovato morto un barbone, poi un giovane etiope figlio di un diplomatico e successivamente la sua ragazza, una spogliarellista. Tutti uccisi con la stessa modalità.
Il senzatetto ha una chiave nell’esofago, sarà proprio questa la chiave di tutto.
Il romanzo è scritto benissimo, godibile, ma non truculento. Costanza non è antipatica, non è depressa come molti altri protagonisti di romanzi gialli.
Ottimo direi. Pare che dovrebbe essere il primo di quattro gialli, uno per stagione. 



lunedì 12 novembre 2018

LA STORIA IN PELLICOLA/ Un uomo un eroe, il film su John Riley e il Battaglione San Patricio

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LA STORIA IN PELLICOLA/ Un uomo un eroe, il film su John Riley e il Battaglione San Patricio

Quando ero un bocia mi divertivo a emulare Zorro contro il sergente Garcia, simpatico ciccione messicano; mi vestivo come Clint nella trilogia del dollaro e leggevo Tex Willer che spesso duellava con i bandidos e i cattivi. I messicani non erano certo nelle mie simpatie. La storia la scrivono i vincitori e così è stato per l’invasione yankee del Messico e l’annessione di due terzi delle sue terre.
Nel 2010 mi sono imbattuto nel disco “San Patricio” del grande Ry Cooder insieme agli irlandesi Chieftains: musiche, ballate e canzoni che raccontano la storia del Battalion.
Anche il Sussidiario propose il cd con un bell’articolo del vecio Vites. Nel 2015 scoprii un libro di Pino Cacucci, “Quelli del San Patricio”, (Feltrinelli), che narra la storia di John Riley e dei suoi uomini. L’autore, noto traduttore di scrittori latino-americani, in uno dei suoi viaggi aveva scoperto la storia e consultando fonti locali ne aveva scritto un libro, un mix tra realtà e romanzo. Il mese scorso l’editore Sergio Bonelli, ci ha proposto il fumetto “Gli eroi del Messico”, riportando alla luce una pagina storica non certo felice per gli Stati Uniti.
Scavando, scavando ho scoperto anche un film del 1990 Un uomo un eroe, del regista (semi sconosciuto) Lance Hool interpretato da Tom Berenger e Joaquim de Almedia. Il film, una produzione americana, fu distribuito a fatica: gli Usa non facevano di certo una bella figura e tra l’altro in Italia non lo troverete neppure in dvd, ma solo in vhs (forse).
Il film è storicamente preciso e Berenger impersona John Riley alla grande. Dal 1840 molti irlandesi erano scappati dalla patria natia dove si moriva di fame. Approdati nel nuovo mondo, per conquistare la cittadinanza e un pezzo di terra, si arruolarono nell’esercito yankee, ma venivano bistrattati e puniti dai caporioni nativi che li consideravano feccia. Furono inquadrati in un battaglione di artiglieria sotto il comando di Riley, irlandese come loro, ma autorevole come comandante e uomo.
Sin dall’inizio del film viene sottolineata la fede cristiana di questi uomini che contravvenendo agli ordini partecipano alla Santa Messa insieme ai messicani. Per questo vengono puniti e incarcerati. Decidono di scappare e con loro Riley che ne diviene il leader. Incontrano una banda di messicani guidata da Cortina (Joaquin de Almeida), ma non si alleano subito con loro. 
Nel 1848 gli Stati Uniti dichiarano guerra al Messico e gli irlandesi decidono di schierarsi con i latino-americani: sono cristiani e non hanno schiavi, contrariamente agli yankee. È una guerra persa in partenza per le poche armi a disposizione, ma  la disciplina e l’unità che Riley riesce a trasmettere ai suoi soldati dà risultati eccezionali in battaglia. In più al Battalion San Patricio si accodano altri disertori dell’esercito americano, tutti europei cristiani: polacchi, tedeschi, spagnoli, qualche italiano.
Nel film per essere accattivante è inserita la storia d’amore (vera) tra Riley e Marta, ex donna del comandante messicano Cortina, che genera una rivalità tra i due, ma questa è soap da telenovela. Cristianità, soprusi, guerra per la libertà, amori e morte.
Il Battalion San Patricio combatté alla grande con i pochi cannoni a disposizione, ma nella battaglia di Churubusco furono sopraffatti dagli americani. I pochi sopravvissuti del Battalion vengono impiccati davanti a Riley marchiato sulle guance con la di disertore. Riley fu risparmiato perché aveva disertato quando ancora non era scoppiata la guerra, mentre il resto dei sopravvissuti furono uccisi nonostante quell’attenuante. John Riley si schierò dalla parte dei deboli e oggi è considerato con il suo Battalion un eroe nazionale in Messico.


venerdì 9 novembre 2018

CLAUDIO VILLA - SOTTO IL SEGNO DI TEX






CLAUDIO VILLA
SOTTO IL SEGNO DI TEX
a cura di Davide Barzi e Andrea Ferrari
Edizioni BD

Non è Claudio Villa il cantante e neppure un parente, ma un sessantenne lombardo che da 40 anni disegna. Ha al suo attivo tutte le copertine dei volumi di Repubblica a colori di Tex Willer più tutte quelle del mensile. Dopo Galep Bonelli affidò a lui l'ammiraglia di famiglia.
C'è la sua storia i suoi bozzetti da Dylan Dog a Martin Mistere Non può proprio mancare questo libro.










lunedì 5 novembre 2018

Cristina Cassar Scalia - SABBIA NERA








Cristina Cassar Scalia
SABBIA NERA
Einaudi

Siamo a Catania dove l’Etna erutta e sparge fuliggine e sabbia nera, da qui il titolo. La protagonista è il vicequestore Giovanna Guarrasi, palermitana, che volutamente si è fatta trasferire a Catania nela sezione omicidi. È come tutti i pulotti triste, fumatrice con angosciosi ricordi alle spalle: il padre ucciso e il compagno magistrato sotto scorta.
In una villa d’epoca chiusa viene scoperto il cadavere mummificato di una donna. Nella stessa villa 56 anni prima il proprietario era stato ammazzato. In galera c’era finito il suo amministratore che si era sempre dichiarato innocente.
L’anziana moglie vive a Catania e fa parte del salotto buono della città.                       La nostra pulotta coinvolge il commissario di allora, ormai 83enne, che mal aveva digerito la colpevolezza dell’incarcerato.
Un’altra morte (ma non dico chi) accade sotto forma di suicidio. S’intreccia tutto con il primo omicidio.
Gradevole, ben costruito che ha già, nelle pagini finali, annunciato il proseguo.