giovedì 13 dicembre 2012

GULAG


  


Tra i fuggitivi dal gulag nel film The Way Back c’è anche un ingegnere americano,      Mr Smith, roso dal tarlo di essere andato in Unione Sovietica con il figlio, ucciso poi dalla polizia segreta russa.
Che ci fossero americani che emigrarono nella madrepatria comunista per questioni ideologiche questo lo sapevo. Un po’ da tutta l’Europa  avevano ceduto al miraggio sovietico. Molti, dall’Italia, erano emigrati per scappare dal fascismo,  e qualche centinaio era sfuggito ai mandati di cattura per omicidio  accaduti nel dopoguerra, come  quelli nel triangolo della morte emiliano.


Ho scoperto un libro, I  Dimenticati di Tim  Tzouliadis (Longanesi) che narra la storia degli americani emigrati in Russia. Non però di chi era andato per scelta politica, ma di migliaia di persone con figli e mogli che erano approdati sul suolo russo per lavorare.
Nel 1929 dopo il crollo della borsa negli Usa scoppiò la grande depressione: la crisi economica colpì la nazione e moltissime persone restarono senza lavoro. Henry Ford stava per smantellare la fabbrica di Detroit, quando Stalin si offrì di comprarla e di trasferirla in patria. Il magnate pare ci guadagnò 40 milioni di dollari in oro.
Stalin aveva  bisogno di manodopera qualificata per industrializzare la Russia. Fu così che in piena crisi economica, i cittadini americani sollecitati dalle offerte di lavoro russe emigrarono. Sicuramente furono migliaia e migliaia, ma un conto vero e proprio non è stato mai stilato. Meccanici, idraulici, ingegneri, tecnici, boscaioli, semplici operai, camionisti, minatori, etc., varcarono l’oceano in cerca della terra promessa. Portarono con loro anche il baseball. A Mosca nacquero quattro squadre che giocavano nel parco Gor’kij. Fu anche aperto un giornale di lingua inglese con 40 redattori. Gli americani non si stabilirono solo a Mosca, ma a pioggia nel resto della nazione dove serviva manodopera.

Facciamo un passo indietro. Dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917 fino alla sua morte, Lenin spadroneggiò in Urss. Chi ritiene che lui sia stato meno sanguinario di Stalin si sbaglia: i campi di rieducazione (così venivano chiamati) già esistevano con Lenin.
Nel 1924 Stalin divenne  padre padrone della nazione. Nel 1934 diede il via al periodo detto del GrandeTerrore. Epurò tutti quelli considerati da lui nemici del popolo, comunisti anche’essi, ma che criticavano i piani del leader. Ben presto allargò il terrore  facendo arrestare chiunque: dalle epurazioni si passò alle deportazioni di massa pianificate.
Le purghe staliniane portarono nei lager gli urka (criminali comuni), giornalisti, politici,  intellettuali, studenti, donne, uomini, ragazzi. Tutta la società sovietica fu attraversata dal terrore delle uccisioni e deportazioni, fu un vero e proprio olocausto.

Alexander Solzenicyn in Arcipelago Gulag  (Mondadori) descrive la vita nei campi di sterminio  ed arriva a dire che i deportati sono stati 40 milioni. Questo è stato il primo libro che ho letto sulle persecuzioni in terra sovietica. 


Poi lessi I Racconti di Kolyma di  Varlam Salamov ma vista la crudezza con cui è stata descritta la realtà  del gulag non riuscii a finirlo. Inorridii al pensiero di quello che le popolazione russa soffrì.


Il primo gulag nacque nel 1923 sulle isole Solovky  come campo di rieducazione con 300 detenuti, ma divenne poi un vero e proprio campo di sterminio, nel 1926 i prigionieri erano 6000. I nazisti della prima ora approdarono nelle isole Solovky  per copiarne  il modello per poi creare i campi di concentramento.
Ho visitato le isole Solovky due anni orsono e sono rimasto colpito e inorridito da ciò che lì accadde.  I monaci che lì vivevano vennero perlopiù eliminati e i prigionieri successivi vennero sparsi per le isole. Ne sopravvissero  pochi ed anche qui si parla di oltre un milione di morti. Un libro molto documentato di Jurii Brodskij,  Solovky  le isole del martirio (La Casa di Matriona) ne è la testimonianza storica.
Se le Solovky furono l’apripista, ben presto sotto Stalin i gulag divennero migliaia.
Quando i campi non potevano accogliere i detenuti, essi venivano uccisi sistematicamente. Non molti anni orsono a Petrozavodsk,  sono state trovate nella foresta centinaia di fosse comuni con migliaia di morti. Quando ho visitato questo luogo ho notato che la vastità della foresta in cui sono stati trovati i resti umani faceva da contraltare ad un silenzio assoluto: non vi erano animali di nessun tipo, gli uccelli non si posavano sugli alberi. Solo le zanzare erano a milioni. Un silenzio spettrale e irreale  circondava il luogo. La natura non si è mai assuefatta all’odore della morte.
Alle porte di Mosca ho visitato un altro luogo di sterminio, Butovo, poligono militare ove furono fucilate migliaia di persone. La guida che ci accompagnava, una sessantenne che parlava in italiano, non ne conosceva l’esistenza.

Ma torniamo a Stalin, dal 1934 al ’39, il Grande Terrore avvolse la nazione  russa ed ingrossò i campi di sterminio.
Le persone che finivano nei gulag, andavano ad infoltire le file dei lavoratori a costo zero per risollevare l’economia sovietica e costruire le infrastrutture dello stato. L’inutile canale per unire il mar Baltico al mar Bianco fu costruito dai prigionieri, la stessa metropolitana di Mosca è stata scavata dai detenuti e le miniere d’oro della Kolyma furono  trivellate se non a mani nude, con mezzi di fortuna da milioni di uomini e donne.
Nel 1939 con il patto Molotov- Ribbentrop, l’Urss occupò la Polonia dell’est e poco dopo nel 1940 la Lituania, L’Estonia e la Lettonia.



 La Finlandia si difese e cedette solo la regione della Carelia. A questo proposito ho rispolverato un vecchio libro di Indro Montanelli, Cronache si Guerra (De Agostini) in  cui vi sono le sue corrispondenze di guerra per il Corriere della Sera.  Queste invasioni andarono ad aumentare enormemente  il numero delle vittime ad opera dei russi. Nel 1941 la Germania attaccò la Russia rompendo il patto di non aggressione. Sappiamo come andò a finire e i patti di Yalta definirono la supremazia dell’Urss sui paesi dell’est Europa. Al termine della guerra tutti i prigionieri dei sovietici di ciascuna nazione occupata andarono a finire nei  gulag della Kolyma dove l’estrazione dell’oro sarebbe servita all’industrializzazione della nazione.
Da notare che nel periodo bellico gli Stati Uniti armarono Stalin con navi, armi e munizioni. Le stesse navi furono utilizzate per la deportazione dei detenuti nella inesplorata estrema regione della Kolyma.

Con la conferenza di Yalta, Stalin pretese il rientro in patria dei militari russi prigionieri in Europa. Moltissimi di essi si rifiutarono, in Inghilterra ad esempio, ma furono passati per le armi dagli inglesi. Questo avvenne anche per i russi nei campi di lavoro statunitensi. Molti russi, sapendo a cosa andavano incontro si suicidarono.
Churchill  e Roosevelt sapevano che fine avrebbero fatto i militari sovietici. Stalin considerandoli degli inetti li mandò direttamente nei gulag.
Gli stessi ebrei polacchi che si erano salvati dai nazisti finirono direttamente nei campi di Stalin. Insieme ad essi tedeschi, ungheresi, lituani, lettoni, moldavi, zingari, estoni, giapponesi ed italiani.



I nostri alpini trovarono nei campi di sterminio altri connazionali scappati dall’Italia e dal fascismo. Erano tutti comunisti. Come documenta Eugenio Corti ne Il Cavallo Rosso (edizioni Ares), Togliatti era al corrente di tutto ciò ma non mosse mai un dito per la loro liberazione.
Roosevelt a Yalta sapeva che molti americani andati a lavorare negli anni trenta in Urss erano stati internati, ma neppure lui si mosse in loro favore. Le notizie erano certe, molti cittadini americani si recavano all’ambasciata Usa a Mosca per denunciare le scomparse di familiari o amici. Ciò non ebbe nessun effetto sulla politica americana in Russia che affermava che molti erano cittadini russi. Gli era stato ritirato il passaporto ed erano diventati sovietici inconsapevolmente e forzatamente.
Gli stessi ambasciatori succedutisi a Mosca fecero spallucce, anzi uno di loro J. Davies (nella capitale dal 1936 al ’38) scrisse un libro in odore di adorazione verso Stalin rimpinguando le tasche del dittatore acquistando tesori artistici russi.




Come citavo in apertura, il libro I Dimenticati di Tim  Tzouliadis (Longanesi) racconta la storia degli americani in Urss dal 1930 al dopoguerra, attraversando lo spaccato della storia sovietica.
Gli americani venivano arrestati con le stesse motivazioni con cui erano imprigionati i russi. Si accorsero che l’unica cosa da fare era cercare di tornare in patria. Ma ormai facevano parte delle liste dei gulag.
Molti usciti, dall’ambasciata dove chiedevano il passaporto venivano arrestati dalla polizia segreta, accusati di essere spie, torturati e se restavano in vita andavano al gulag.
Thomas Sgovio e Victor Herman  furono tra i pochi americani che si salvarono, come Salamov, dalla Kolyma.
Sgovio si ritenne fortunato e miracolato. Molti morivano dopo tre mesi, solo il 30% superava il primo inverno per morire il secondo. Il lavoro nelle miniere uccideva velocemente, ma il turnover  era assicurato dai continui nuovi arrivi. Riuscì a salvarsi perché le sue capacità artistiche di disegnatore e grafico  lo esentarono dai lavori più duri. Non era credente, ma come lui afferma si trovò un giorno inginocchiato a pregare Dio.  Herman si salvò perché la sua struttura fisica lo salvò.
Tutti e due erano tra i giovani che giocavano a baseball nel parco Gor’kij.
Tornato negli Stati Uniti, Sgovio scrisse le sue memorie per ricordare tutti i morti della Kolyma. Andò a vivere nella calura e al sole di Phoenix, il freddo e il gelo  russo erano un bruttissimo ricordo. Morì ad 81 anni nel 1997. Herman tornò a Detroit nel 1976, segnato nel fisico e nella psiche, si svegliava di soprassalto di mattina presto pensando di dover cercare da mangiare per sfamarsi. Il ricordo del lager non lo abbandonò. Morì nel 1985 a sessantanove anni di infarto.


Peter Weir, regista di The Way Back, ha volute come consulente Anne Applebaum, la massima studiosa dei Gulag. Suo, l’interessante e dettagliato libro Gulag storia dei campi di concentramento sovietici (Mondadori). Weir è stato accusato di aver fatto un film a partire da un falso storico che poi racconterò e di aver abbindolato tutti con le riprese documentaristiche dei luoghi della fuga.  Il film è giunto nelle sale italiane solo a luglio, da un anno non trovava distribuzione nel nostro paese. Snobbato e criticato per falso e perché senza una storia da alcune e riviste radical-chic (vedi Escobar su L’Espresso), ha avuto invece un buon consenso per chi vuole la verità. La storia nel film invece esiste: uomini traditi dalla propria donna, dal regime, e desiderosi di perdonare e di perdonarsi sono diventati amici nel cammino della fuga sorreggendosi ed aiutandosi a vicenda.  Un grande Ed Harris interprete dell’americano Mr Smith ed un buon Colin Farrell nelle vesti quasi naturali del cattivo urka. I paesaggi meritavano la fotografia da cartolina di Weir, che però teneva sempre come contraltare i primi piani dei fuggiaschi. I detrattori della fotografia di Weir dovrebbero andare a rivedersi Gallipoli – Gli anni spezzati  con un giovane Mel Gibson, anche lì i paesaggi australiani erano rappresentati come cartoline. 



Ma passiamo al libro da cui è tratto il film, Tra Noi e la Libertà (Corbaccio) di Slavomir Rawicz. Arrestato dopo l’invasione della Polonia e internato in un campo della Siberia, sostiene di essere scappato con altri sei prigionieri, uno dei quali americano, e con una ragazza polacca, anch’essa trovata sulla via della fuga. Arrivarono in India dopo aver costeggiato il lago Bajkal, attraversato la frontiera Mongola, il deserto dei Gobi, l’Himalaya ed il Tibet.
I detrattori affermano che la storia di Rawicz è falsa, frutto dei racconti del gulag in cui si sognava la libertà. . Ciò non toglie nulla al film di Weir, la libera ispirazione penso sia una cosa positiva, ognuno interpreta secondo la propria sensibilità, ma Weir è stato coerente e veritiero con la storia russa.
Di fatto, gli americani in Russia venivano incarcerati, gli urka esistevano, i polacchi erano perseguitati più degli ebrei, alcuni disegnavano e la vita nel campo, moltissimi morivano e …. i gulag erano campi di concentramento.
Weir ha girato un film storico in cui si leggono le sofferenze del popolo russo, delle altre nazioni sottomesse, la fame, la morte, l’abbruttimento umano.
Quello che ai mass media dà fastidio non è tanto il ricordare tutto ciò, ormai la storia ha scoperto la verità anche se Putin e i vecchi /nuovi comunisti non scrivono nei libri di storia ciò che è accaduto, ma il fatto che l’uomo ha comunque un cuore che urla la sua infelicità, il suo desiderio di verità e di giustizia.