domenica 24 maggio 2020

UNA STORIA SENZA NOME/ Un film nel film sul giallo della Natività di Caravaggio









Raccontare di film con a tema l’arte, in questo caso la pittura, non è affatto facile. Per diverse settimane vi proporrò dei film che parlano di questo, alcuni saranno film impegnati, altri un po' meno.
Partiamo da Una Storia Senza Nome (2018) di Roberto Andò, un giallo romanzato che prende spunto da un fatto, ahimè, vero.
Nella notte tra il 17 e il 18 ottobre del 1969, a Palermo, nel quartiere detto della Kalsa, nell’Oratorio di San Lorenzo venne rubata la tela de la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco. La serratura non era sicuramente a prova di ladri, non vi era nessun allarme sulla scalcagnata porticina, ma neppure sul quadro. Come dire: portatemi via! Ma non era un dipinto qualsiasi, era stato realizzato Michelangelo Merisi, il Caravaggio e dopo il restauro del 1951 lasciato nella chiesetta per essere ammirato e…facilmente rubato. La curia palermitana non aveva chiaramente avuto un occhio di riguardo nella conservazione e protezione. Sta di fatto che in una notte piovosa, alcuni ladri, tagliarono la tela dalla cornice con una lametta, la arrotolarono e fuggirono su un’Ape car. Sembra un furto dei soliti ignoti un po' sfigati. E qui parte il mistero che da più di cinquant’anni avvolge la Natività del grande pittore.
Pare che i quattro ladri sfigati non sapessero del valore del quadro e che, sull’onda della scoperta del furto, la mafia se lo fece consegnare dai ladruncoli. Nel corso di queste cinque decadi non si è trovato nulla, se non le deposizioni di svariati pentiti che affermavano tutto e il contrario di tutto: che venne bruciato da Marino Mannoia; fu rovinato, fatto a pezzi e mangiato dai maiali; ospitato in casa di tano Badalamenti e venduto a un trafficante svizzero. Ho sintetizzato, di mezzo ci sono, brusca e company e non ultimo un tale Gaetano grado che affermò alla commissione antimafia di Rosy Bindi che il quadro fu portato in Svizzera, diviso in sezioni e queste vendute in giro per il mondo. Beneficiaria, chiaramente, la mafia. Il noto Vittorio Sgarbi, che ne sa sempre una più del diavolo, in un articolo del 2019 afferma che i risultati della commissione della Bindi sono farlocchi e che il quadro è in Svizzera.
Parliamo ora del film, Una Storia Senza Nome, gran bel film secondo me, ben realizzato con una sceneggiatura che prende dal vero quel poco che c’è, miscelandolo con le confessioni dei pentiti un po' di romanzo noir, ma lasciando una domanda nell’aria, anzi sullo schermo, senza risposta.
Roberto Andò, il regista, ha sapientemente scritto la sceneggiatura e si è inventato un film nel film. Non nuova l’idea, ma trasportata direi molto bene.
Abbiamo uno sceneggiatore che pensa solo alle donne, Alessandro Gassmann e non ha più verve nello scrivere. Le sceneggiature degli ultimi suoi film, tra l’altro di successo, le ha scritte Micaela Ramazzotti, segretaria di produzione della società cinematografica per cui Gassmann lavora. Nessuno è al corrente, è in gergo un negro, cioè colui che scrive per altri. Figura conclamata nel cinema, nell’editoria, in televisione. In politica lo si definisce invece con termine inglese che parrebbe più nobile: ghost writer.
Micaela ha un patto diciamo d’amore con il cazzaro Gassman, scrive sì in cambio di soldi, ma ne è anche innamorata e lui da latin lover non disdegna.
La bella segretaria viene agganciata da un anziano uomo che si spaccia per investigatore. Le racconta la storia del quadro di Caravaggio, della mafia e compagnia bella. Micaela scrive, Alessandro consegna la sceneggiatura che viene accolta alla grande, arrivano i cinesi che vogliono coprodurre il film con un regista internazionale. E qui iniziano i guai. Nella casa di produzione, il socio di maggioranza è un colletto bianco della mafia che ne reinveste i denari. Quando Cosa Nostra legge la sceneggiatura capisce che lo script è stato scritto da qualcuno che sa la verità.
Gassman viene rapito e massacrato di botte, ma continua ad affermare che è frutto della sua fantasia. Morale si farà sei mesi di coma in ospedale. Micaela attratta dall’anziano detective lo aiuta, continuando a scrivere man mano le scene che mancano. Qui il film diventa sempre più thriller con i mafiosi alla ricerca del Mister X che scrive la storia. Si arriva addirittura al Presidente del Consiglio e ad alcuni ministri a cui è proposto il dipinto in cambio di soldi e di abolizione della detenzione al 41 bis dei mafiosi in carcere. Questo è quanto ha affermato tra l’altro il pentito Giovanni Brusca.  Come dicevo c’è un buon amalgama tra la storia vera, quella dei pentiti e quella romanzata di Andò.  Miscelata con una ricostruzione con flash back trasportata nel film che viene girato dalla casa di produzione. Un film nel film che racconta una storia. Un paio di colpi di scena ben assestati, uno fanta-politico ed uno personale di Micaela sono le ciliege sulla torta. 
Godibile, buon divertimento

giovedì 7 maggio 2020

NON SPOSATE LE MIE FIGLIE 2/ Il film “scorretto” dove risalta Clavier






Un paio di anni fa vi avevo proposto Non sposate le mie figlie, ed ora vi propongo il sequel uscito in Italia nel marzo del 2019. Il primo era veramente un film gustoso, ironico e politicamente scorretto, questo secondo è un po' stantio e meno brillante. Vale comunque la pena di vederlo, se l’avessero girato in Italia, sarebbe stato accusato di fascio/leghismo e sovranismo mentre in Francia al massimo potrebbero accusarlo di gollismo.
Il protagonista è sempre Christian Clavier, capofamiglia andato da poco in pensione, che si trova alle prese con le quattro figlie e relativi generi tutti desiderosi di espatriare.
L’avvocato musulmano ha solo clienti islamici e vuol andare in Algeria, l’ebreo un cazzaro/fanfarone in Israele, il cinese bancario a Shangai e l’ivoriano a Bollywood per sfondare come attore. Sono tutti scontenti di come si sentono trattati in Francia pur essendovi nati, non si sentono capiti e tenuti in considerazione. Si considerano degli immigrati. Espatriare diventa il loro miraggio.
Mentre i quattro si lamentano continuamente, il nostro scudiero (guardatelo ne L’Ultimo Guerriero) è costretto dalla moglie ad accogliere un afgano come giardiniere, che lui tratta in maniera razzista.
Il vecio Clavier e moglie non son d’accordo con i quattro che  e spiega loro che il mondo è tutto uguale: i sindacati e i gilet gialli sono ovunque, e rinfaccia loro di aver votato Macron. E qui esce il suo nazionalismo e amor di patria, organizza solo con i generi un week end/tour nella valle della Loira decantando i castelli, i vini, la nazione francese e combinando incontri “fortuiti” con vari personaggi per dare delle occasioni e dei motivi ai poveri tapini di restare in Francia. Chiaramente è tutto combinato e Clavier tira fuori molti euri per lo scopo. Ciò che muove lui e la moglie è l’amore per le figlie e per non aver lo strazio di vederle andare in luoghi lontani. Ma il suo gollismo, concretezza per arrivare all’obiettivo, coglie nel segno.
Tutto è raccontato in maniera politicamente scorretta, con battute semi razziste da parte di Clavier. Aggiungiamoci la figura del parroco, già visto nel primo film, che questa volta chiede la questua con l’utilizzo della carta di credito (minimo 10 euro) e che di notte si spara le serie tv di Star Trek e Gomorra (questo nel doppiaggio italiano).
Poi c’è il consuocero ivoriano che arriva a Parigi per il matrimonio della figlia, ma non sa che questa, essendo lesbica, si sposerà con una donna. E lì il cattolico negrone si sente male. Bordata chiaramente contro la morale cattolica, che con il sacerdote suddetto è completamente ridicolizzata. Questo è lo scivolone del film, dopo i quattro matrimoni multirazziali, l’unica idea nuova è stata questa. Un po' debole ed anch’essa telefonata. Forse la pecca del film.
Sicuramente non è brillante come il film del 2014, una genialata quello, ma, comunque, i dialoghi sono scritti bene, da teatro di rivista, e il ns. Clavier è veramente bravo. I siparietti con il padre ivoriano sono tutti da ridere.
Come dicevo inizialmente se il film in questione fosse stato girato nel 2018 in Italia, miiiiiiii, avrebbe causato una crisi di governo. Forse solo Zalone sarebbe riuscito ad accomodare tutto (vedi le sue gags sugli omosessuali).
Tutto è bene quel che finisce bene, le quattro famiglie restano in Francia, e guarda caso al capofamiglia viene regalato dai quattro pellegrini un berretto, un kepì originale di Charles de Gaulle. W la France.
N.B. Alle medie ho studiato francese…..                                                                       Mìììììì, non ci posso credere