lunedì 31 agosto 2020

ASINI/ Il film “parabola” sul riscatto che passa dallo sport

https://www.ilsussidiario.net

 In questo periodo estivo vi proporrò dei film un po’ datati che parlano di sport in una maniera particolare. Quest’anno dovevano svolgersi le Olimpiadi e gli Europei di calcio, ma abbiamo visto solo un finale di campionato chiaramente già segnato e ora un mini-torneo per Europa League e Champions League. Dico subito che non mi occuperò di calcio, ma di sport vari e le pellicole di cui scriverò avranno dei risvolti non esclusivamente agonistici, anzi.

Partiamo con Asini (1999), film italiano dove alla base c’è il rugby. Spero sia uno sport che vi piaccia, perché al contrario del calcio nostrano è giocato da gente che non se la tira, sgobba da matti e becca zero euri. Tanto che il professionismo in Italia non esiste e i nostri più affermati giocatori sono dovuti emigrare all’estero. La patria del rugby è l’Inghilterra, ma per il Galles è vita, così come per la Nuova Zelanda. Io tifo chiaramente per gli All Blacks, i tutti neri, che solo a vederli nel loro grido e danza di guerra, la Haka, spaventano gli avversari. L’Italia, ahimè, nel Sei Nazioni, vince sempre… il cucchiaio di legno (arriva ultima).

Bene ora passiamo al film.

Achtung iniziale. Le prime scene del film scorrono veloci, ma state attenti. La maestra mette un cappello d’asino a un bimbo e gli ordina ad andare nelle classi vicine a farsi vedere così conciato. Uno sfigato quarantenne, Italo, interpretato da Claudio Bisio, panchinaro nella squadra dell’A.S. Rugby Milano, si trova a fare il punto sulla sua vita: vive alla giornata, non ha un lavoro, abita con la madre (Isa Barzizza) e la zia, ha una fidanzata dog-sitter (Maria Amelia Monti) che cerca di metterlo inutilmente alle strette. Gli viene proposto l’ennesimo lavoro, insegnante di educazione fisica in un collegio sulle colline emiliane. Quando vi arriva scopre che è un convento con due fratoni un po’ rimba (uno è il comico Vito) e Padre Anselmo che non si vede mai, una bella ragazza (Giovanna Mezzogiorno) che si occupa della cucina e una quindicina di ragazzi tutti particolari: orfani, con problemi psicologici e relazionali. In un podere vicino vive Bastiano (Ivano Marescotti) che parla solo in dialetto emiliano, ha una bottega con bar, barbiere, vestiti usati e spara ai preti con la doppietta.

Aggiungiamoci un giovane Fabio De Luigi che interpreta lo strampalato factotum del convento, anche lui problematico. Guida il furgoncino solo con la prima marcia e ha un modo tutto suo di parlare (veloce e incomprensibile), vestito con pantaloni ascellari e colletto della camicia abbottonato.

Italo cerca di entrare in rapporto con i ragazzi, ma la situazione è strampalata. Appare il Cardinale (Arnoldo Foà) che cerca di acquistare il podere di Bastiano per creare una mega struttura tipo “città della carità”. Il convento accoglie nella sua tenuta un branco di asinelli ormai inutili: un parallelo esplicito, con i ragazzi disagiati che lì vivono.

Italo, alla sua maniera, si gioca con gli sbarbati che invece lo prendono in giro a manetta. Getta la spugna e torna a Milano e trova la fidanzata che gli dice di essere gravida. Ritorna allora al convento e insegna ai ragazzi a giocare a rugby. Scopre anche che l’irascibile Bastiano è un appassionato della palla ovale.

Bene, Bastiano vende il podere al Cardinale e nel progetto fa costruire un campo da rugby, il porporato paga le divise per i ragazzi e c’è una partita d’inaugurazione con l’A.S. Rugby Milano. È un po’ una parabola: gli ultimi possono rifiorire se voluti bene e se si sbattono.

E gli asinelli? Ho chiesto a Giorgio Terruzzi da dove gli è venuta l’idea di questo soggetto. Un rugbista inglese andava al pub con il suo asinello e poi dava da bere alcolici anche all’animale. In Inghilterra un medico danaroso aveva creato un ricovero per gli asinelli e i bardotti ormai inutili. Ve ne sono ora anche in Italia. Perché il rugby? È uno sport che non porta schei, è passione, allenamento e fatica, un po’ come la vita. Unitevi gli asinelli e i ragazzi disagiati e il cerchio si chiude.

Terruzzi non è solo un bravo giornalista sportivo, nato alla corte del grande Beppe Viola, ex Mediaset, ora al Corsera, esperto di F1 dall’adolescenza, scrittore, autore di Abatantuono, ecc., non lo voglio incensare, ma con dei suoi amici è impegnato nel carcere minorile Beccaria di Milano, dove insegna rugby ai banditelli. Mica paglia… Una possibilità di riscatto e di educazione che passa attraverso uno sport che non regala nulla, fatto di fatica e allenamento nella palta che tempra e che può redimere. E questa è la vita.

Achtung finale. Alla fine del film i ragazzi sono seduti sul prato con Italo e appare finalmente Padre Anselmo che ricorda al nostro esilarante pelato che molti anni prima era entrato nella sua classe un bimbo in lacrime, Italo appunto, con un cappello d’asino e nel flashback si vede che il giovane frate ha anch’egli sulla testa un grosso cappello con le orecchie d’asino. E qui finisce il film.

Meditate gente, meditate.

martedì 4 agosto 2020

LOVING VINCENT/ Il “giallo” per raccontare la vita di Van Gogh coi quadri



L’ultimo film di cui ho scritto era 
Sogni di Akira Kurosawa e mi ero soffermato sull’episodio Corvi con Martin Scorsese nelle vesti di Van Gogh e un’immersione nei quadri del pittore dovuti alla maestria e alla tecnologia utilizzata da George Lucas con i suoi effetti speciali (siamo nel 1990) considerati allora straordinari. Nel 2017 è uscito per soli tre giorni nelle sale italiane Loving Vincent e ora lo trovate solo in blu-ray. Lo consiglio sia per chi è appassionato di tecnica cinematografica che di pittura. Il protagonista è sempre Vincent Van Gogh e viene raccontata la sua vita, in particolare l’ultimo periodo con una trama quasi noir. Il tutto realizzato con una tecnica mista fatta di riprese, effetti speciali e pittura.

Siamo nel 1891 e il postino Joseph affida una lettera al figlio Armand da consegnare a Theo van Gogh, fratello di Vincent, suo amico, suicidatosi un anno prima. Il postino non è convinto del suicidio in quanto aveva ricevuto una lettera in cui il pittore si definiva tranquillo e sereno. Armand inizia il suo viaggio che diventerà ben presto un’investigazione. Incontrerà il commerciante di colori Tanguy che gli racconterà l’inizio della vita artistica di Van Gogh, la sua malattia psichica, il suo soggiorno finale a Auvers sur Oise vicino al dott. Gachet che lo aveva in cura e ammirava la sua arte.

Armand si reca al paese dove Van Gogh ha vissuto e si è suicidato, conosce la figlia dei locandieri dove aveva preso una stanza. Si reca alla villa del dottore dove incontra prima la figlia e poi il medico. Armand conosce altre persone del luogo e si convince per la dinamica dei fatti che non si sia trattato di un suicidio. Il dott. Gachet afferma invece che il pittore si è suicidato dopo una litigata con lui in cui gli ha rivelato che il fratello Theo era in precarie condizioni di salute ed economiche dovute ai continui aiuti dati a Vincent.

Theo van Gogh morì poco dopo il fratello. Armand tramite il dottore riesce a far arrivare la lettera del padre alla moglie di Theo. È un film biografico, un po’ romanzato, ma che cerca di fare luce sulla vita del pittore che iniziò a dipingere all’età di ventotto anni e che in soli otto sfornò 900 quadri.

Il soggetto è ben costruito, con Armand investigatore che attraverso le persone che hanno conosciuto Van Gogh raccontano a lui e a noi la vita del pittore.

Passiamo alla parte tecnica. Il film è realizzato in animazione, ma non in computer grafica 3D come i cartoni animati delle ultime generazioni, i personaggi sono stati ripresi con lo sfondo verde del chroma key, banale direte voi, ma qui parte il resto: sono stati ridisegnati su tele tutti i dipinti di Van Gogh, in pratica ogni singolo fotogramma era un disegno del pittore adattato alle proporzioni, alla notte, al giorno, alle stagioni e movimenti in cui i protagonisti erano immersi con la tecnica del Painting Animation Work Station. Un’opera immane con 130 pittori al lavoro che hanno realizzato 65.000 frames. Andate sul sito ufficiale del film dove troverete il making of, le foto e le interviste della preparazione del film

lunedì 3 agosto 2020

SOGNI/ Kurosawa, il cinema, l’arte e gli incroci straordinari nell’episodio “Corvi”



Nel 1990 uscì nelle sale 
Sogni di Akira Kurosawa. Il Maestro aveva allora ottanta anni, ma girò altri due film, Rapsodia di Agosto (1991) e Madadayo – il Compleanno (1993) e si spense nel 1998. Aveva il “vizio” di scriverli, girarli e anche montarli. Non vinse mai l’Oscar, ma gli fu data una statuetta Onoraria nel 1990. Il che la dice tutta su Hollywood. Vinse a Venezia il Leone d’Oro nel 1951 con Rashomon e nel 1954 il Leone d’Argento con i Sette Samurai. A Cannes fu impalmato d’oro nel 1980 con Kagemusha – L’Ombra del Guerriero. Ma come non ricordare Ran (1985) e il bellissimo e umano Dersu Uzalua (1985) osannato da noi in Italia con il David di Donatello? I Sette Samurai è rimasto nella storia del cinema, tanto che molte pellicole hanno preso spunto da essa.

Ma torniamo a Sogni. Partiamo dal fatto che il produttore è Steven Spielberg, Martin Scorsese interpreta Van Gogh in uno degli episodi e George Lucas mette la sua mano per gli effetti speciali. Tre personaggi mica da poco che hanno voluto onorare il Maestro con la loro partecipazione. Ci aggiungiamo anche Chopin, ma di lui parleremo in coda.

I film di Kurosawa non sono certo di intrattenimento oppure spaghetti kung-fu, hanno sempre l’impronta del regista, che li ha pensati, scritti e realizzati partendo dal suo io, dalla sua spiritualità, dalla cultura e storia giapponese. Mai finti, pieni di suggestioni ma che lasciano pensare.

Sogni non fu accettato dalla critica in maniera benevola: un vecchio di ottant’anni che racconta in prima persona la sua vita a episodi, attraverso appunto dei sogni che gli ricordano la propria esistenza, scanditi dalle stagioni e dai colori, con elementi di drammaticità ma anche di positività. Poteva essere il suo testamento, ma per fortuna ha diretto, come dicevo, altri due film prima di volare in cielo. Se i tre americanos, Lucas/Spielberg/Scorsese, si sono imbarcati nell’avventura ci sarà stato un motivo profondo e non venale, sapendo in partenza che di schei con questo film non ne avrebbero fatti.

Gli episodi sono otto, ripercorrono la sua vita da bambino e adulto tra favole, racconti fantastici, drammi, sempre partendo dall’appartenenza alla spiritualità e cultura della sua terra. Mi soffermo su uno in particolare, Corvi, dedicato a Vincent van Gogh. Un uomo, un giovane artista, sarebbe Kurosawa, sta contemplando in una sala di museo i più famosi quadri del maestro e a un certo punto si ritrova magicamente catapultato nella realtà di uno di essi, dove delle massaie in riva al fiume stanno lavando i panni. Chiede loro dove può trovare il pittore, le donne dicono che è passato da poco e di stare attento perché è appena uscito dal manicomio.

L’uomo cammina in un paesaggio di campagna dai bellissimi colori finché non trova il pittore in un campo di fieno tagliato e di covoni mentre in piedi e di spalle sta disegnando degli schizzi. Ha un cappellaccio grande di paglia, un fazzolettone dalla testa al mento che gli copre le orecchie, quando si gira scopriamo che Vincent van Gogh è interpretato da Martin Scorsese. Gli dice che la bellezza della natura lo trascende fino a mettergli davanti il quadro finito e poi… il vuoto assoluto. Guarda, osserva, disegna e afferma: Io lavoro da schiavo e mi guido come una locomotiva. Il sole mi costringe a dipingere, non posso perdere tempo a parlare con lei.

Qui entra in maniera vigorosa l’immagine di una locomotiva a vapore che sferraglia sostenuta dall’impetuosa musica di sottofondo.

Raccatta le sue cose e se ne va. Il nostro si inebetisce dal sole, si gira e non vede più van Gogh. Cammina e si ritrova dentro i quadri del pittore. E qui è entrato in campo George Lucas con la sua maestria negli effetti speciali, che visti oggi un po’ fanno sorridere, ma allora erano all’avanguardia.

Vari minuti di escursione nei vari e bellissimi quadri, finché lo rivediamo nella campagna reale dove scorge in lontananza il pittore nel viottolo di un campo di grano e mentre scompare all’orizzonte si alza in cielo uno stormo di corvi. Dall’immagine reale ci ritroviamo nel museo davanti al quadro Campo di grano con voli di corvi, l’inquadratura si allarga e il nostro pittore si toglie in segno di riverenza il suo cappellino da pescatore.

Questo episodio dura dieci minuti, con veramente poche battute parlate. Di sottofondo la musica di Chopin che esalta Kurosawa alla ricerca di van Gogh. Una musica azzeccatissima, il Preludio 28, op 15, conosciuta ai più come La Goccia che è impeto e forza di ricerca costante nel cammino del giovane artista.

Il flashback della locomotiva è un omaggio ai creatori del cinema, i fratelli Lumiere. Anche questa una genialata. Sicuramente l’episodio Corvi è un saluto ossequioso e di affezione a van Gogh al suo stare alla natura e alla realtà, ma è anche un omaggio alla settima arte, il cinema, come trasposizione della bellezza, della storia, della natura come Kurosawa ha fatto con le sue pellicole.

Un Maestro del cinema, tre geni diversi cinematografici, uno dei più grandi pittori di sempre ed uno dei compositori per pianoforte più straordinari.

Sogni – episodio Corvi. Buona visione