domenica 28 ottobre 2012

Marco d'Aviano

Il libro che vi ho già presentato è introvabile. Non fa comodo a nessuno parlare del Beato Marco d'Aviano,  ma anticipa il film di Renzo Martinelli che vi presenterò in questi giorni.



Carlo Sgorlon
Marco D’Europa
Edizioni Paoline – 1993

Marco d’Aviano nasce il 17 novembre 1631, giovanissimo scappa dal collegio gesuita dove studia per andare a Capodistria perché vuol imbarcarsi su  una nave della flotta della Repubblica veneziana per andare a Creta a combattere i turchi dell’Impero Ottomano.
Non vi riuscirà, ma entrerà nell'ordine dei frati cappuccini e diventerà  predicatore. Benedicendo una religiosa inferma, compì il suo primo miracolo, guarendola.
I  miracoli si susseguirono tanto che dovette continuare a cambiare convento perché  la sua fama si era  sparsa tra la popolazione italiana. Ormai era conosciuto anche in Tirolo, dove lo chiamò a Innsbruck  il governatore  Carlo V di Lorena. Il passo seguente fu ancora più a nord, perché venne chiamato da Vienna dall’imperatore  Leopoldo I d’Asburgo. Andò in Austria, nei paesi Bassi, nei Lander tedeschi. E ad ogni benedizione avvenivano delle guarigioni, cioè dei miracoli.
Marco prima di recarvisi chiese l’autorizzazione al Papa ed al suo superiore. Obbedienza alla Chiesa innanzitutto, lui che desiderava invece ritirarsi in qualche sperduto convento. Ma Dio sceglie i suoi uomini per un compito.
Quando nel 1689,  i turchi con a capo Kara Mustafà risalirono i Balcani per poi assediare Vienna, padre Marco si prodigò per la costituzione di una Lega Santa a cui rispose il polacco Janos Sobieski e  Carlo di Lorena. Dall’alto delle colline che guardavano la città assediata, il padre cappuccino con un lungo crocefisso tra le mani, benediceva i combattenti cristiani. Padre Marco era l’anima e la coscienza della Lega Santa.
Animate  da tale conforto le truppe europee sconfissero i turchi: restarono sul campo di battaglia 2.000 cristiani e 11.000 musulmani.
L’invasione turca era stata fermata.


giovedì 25 ottobre 2012

La Réclame: Spot Citroen C3

Vi ricordate quando le auto erano così?
Spot efficace, del 2011, ma riportato in vita per la campagna Citroen attuale.Il vintage sta ritornando    di moda. Simpatico, una grande trovata.


domenica 21 ottobre 2012

Il Lungo autunno. Contostoria del Sessantotto Cattolico




Roberto Beretta  - Il lungo autunno - Rizzoli - 1998

Questo libro l’ho letto per caso. Stavo leggendo l’appassionante vita di un missionario, padre Aristide Pirovano,  quando mi sono imbattuto in alcune citazioni de Il Lungo Autunno. L’ho poi recuperato e letto. Ne è valsa la pena.
È una ricerca storica approfondita sullo scompiglio e i mutamenti all’interno della Chiesa e dei movimenti cattolici italiani causati dal famoso Sessantotto.
La contestazione colpì le Acli, Gioventù Studentesca, Azione Cattolica, Mani Tese, etc. I seminari furono abbandonati in massa, moltissimi preti chiesero di andare a lavorare in fabbrica per condividere le lotte operaie ed altrettanti abbandonarono la veste.                              
Il cuore dei primi movimenti che cavalcarono la contestazione era cattolico. Forse questo fu l’inizio del cattocomunismo.
Se la pianta perde le radici, si secca e muore. Così è stato per moltissimi cattolici italiani. Se le esigenze e i desideri di giustizia sociale dei contestatori erano inizialmente genuini, l’ideologia ha avuto il sopravvento ed è poi scaturita in violenza.
Madre Teresa affermava che leggendo bene il vangelo si nota che Gesù, per la preghiera, sacrificava la carità. Questo per insegnarci che, senza Dio, siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri.

                        

mercoledì 17 ottobre 2012

Aristide Pirovano - Il Vescovo partigiano




Piero Gheddo - IL VESCOVO PARTIGIANO                   Aristide Pirovano 1915-1997                                             Editrice Missionaria Italiana – 2007                                                   

Il titolo è abbastanza riduttivo, in quanto il libro ripercorre la vita del missionario e non solo il periodo della sua militanza partigiana. Certo che con un nome così, Aristide, il protagonista  non poteva che avere una vita avventurosa, non certo quella di impiegato statale. Tipo vigoroso il nostro Aristide. Ordinato sacerdote nel 1941 nella congregazione del Pontificio  Italiano Missioni Estere, entrò in contatto con il CNL di Milano. Venne arrestato dalle SS tedesche nel 1943, restò a San Vittore per tre mesi tra interrogatori e pestaggi, ma continuò a negare i suoi rapporti con i partigiani.Dopo l’8 settembre salvò dalle mani vendicative dei partigiani rossi sia fascisti che militari tedeschi. Nel 1946 partì missionario per il Brasile. Fu lui ad aprire la strada all’evangelizzazione in Amazzonia. Qui incontrò il dott. Marcello Candia e diede vita al movimento Mani Tese. Fu ordinato Vescovo (il primo) della diocesi di Macapà.Tutto finito? No, fu richiamato in Italia nel 1965 perché venne eletto superiore generale del PIME  per due mandati fino al 1977.  Dall’Amazzonia a Roma il passo non fu facile. Attraversò il Concilio Vaticano II, il sessantotto, risanando lo spirito e le finanze della congregazione. Uomo di grande fede, attaccato a Cristo, sia nella foresta che nella capitale della cristianità. Mise ordine nel PIME durante la contestazione  del ’68 consolidandosi alle radici ed alla tradizione della Chiesa, che aveva incontrato sin da bambino.
Allo scadere del secondo mandato si offrì per andare in missione nelle Filippine. Ci sarebbe andato da semplice sacerdote. Ma il clericalismo viveva e vive all’interno delle curie. Restò in stand-by per qualche tempo.



Fu allora, verso la fine del 1977 che ebbi occasione di sentirlo parlare. In una mattina di bigiata scolastica mi intrufolai con un mio compagno nel salone conferenze del PIME di Milano ad un incontro tenuto da don Giussani per gli universitari degli atenei minori. Don Giussani arrivando  aveva incontrato Aristide Pirovano e l’aveva invitato.  L’ospite inatteso testimoniò ai presenti la sua esperienza di vita missionaria. Era alto magro, con una lunga e folta barba bianca. I due sacerdoti erano buoni amici e si vedeva dall’aria rilassata, felice e scherzosa che il padre aveva. Era stato lui a chiedere a don Giussani nel ’61 di mandare dei ragazzi di Gioventù Studentesca in Brasile. Alcuni poi diventarono sacerdoti, altri nel burrascoso ’68 saltarono il fossato.
Nell’aprile del 1978 partì nuovamente per il Brasile, cappellano del lebbrosario di Marituba costruito da Marcello Candia. Vi rimase sino al 1992. Tornato in Italia, nonostante l’età avanzata,  si diede da fare per racimolare fondi per l’ospedale brasiliano. È morto nel 1997.
Speriamo che diventi velocemente Beato.

lunedì 15 ottobre 2012

15 Ottobre 1922


Nel giorno in cui si festeggia Santa Teresa d'Avila, il 15 ottobre 1922 nacque don Luigi Giussani

venerdì 12 ottobre 2012

the Mentalist





Data l’età avanza, quando penso alle serie tv crime e ai suoi protagonisti mi vengono in mente Padre Brown, il tenente Sheridan, il commissario Maigret e il tenente Colombo.
I più recenti invece sono i telefilm CSI, Cold Case, NCIS, The Closer, Senza Traccia, etc. Attualmente si erge sopra tutti il tv movie The Mentalist, che tutti i giovedì è in onda su Rete4. Due settimane orsono ha strigliato la prima tv di Italia 1, il film Inception , e settimana scorsa ha portato a casa un ottimo 8 % di share.
Proprio su Italia 1 aveva fatto il suo debutto in chiaro nel 2009, ma era stato troppo strapazzato con una programmazione casuale.
A Rete4 ha trovato la stabilità e il suo status. Ormai, qui, ha il suo zoccolo duro di affezionati.
Il protagonista è Patrick Jane, consulente del CBI (polizia investigativa californiana), che assiste nelle indagini i componenti della squadra investigativa.
È un tipo particolare, eccentrico, all’apparenza saputello e certo di sé. In un passato prossimo, il killer John il Rosso ha ucciso la moglie e la figlia di Patrick che lo aveva sfidato attraverso un programma tv in cui faceva in maniera cialtronesca utilizzo delle sue capacità paranormali e di sensitivo.
In tutte le puntate Patrick svolge  il suo lavoro apparentemente in maniera bizzarra, arrivando sempre a scoprire il colpevole. Il leitmotiv è sempre però la ricerca e l’intercalare dell’ombra di John il Rosso.

Il Tenente Colombo è in onda in Italia dal 1977 ed ancora ci viene riproposto sempre da Rete4. Ecco, il Colombo del nuovo millennio è Patrick Jane.
Molte le similitudini.

Auto. Colombo ne ha una vecchia e scassata, Jane ha una Citroen Ds (il favoloso Squalo) ormai obsoleta rispetto ai suv made Usa odierni.

Look. Il tenente ha sempre il solito vestito con l’impermeabile vecchio e liso, mentre Patrick ha sempre il medesimo completo su misura con gilet, senza cravatta. Spesso, in maniera inopportuna, infila le mani nella tasca della giacca.

Abitudini. Colombo fuma continuamente il sigaro, mentre il biondo Jane beve sempre il tè.

Casa. Il primo ne parla ogni tanto ma non si è mai vista, mentre Patrick non ne parla, la vive pochissimo ed è quasi completamente vuota: c’è solo un materasso sotto il disegno lasciato da John il Rosso. Dorme però spesso sul divano dell’ufficio o nella soffitta del comando del CBI.

Moglie. Il tenente ne parla sempre ma non si vede mai. Jane non la pronuncia mai, ma  la sua presenza aleggia in ogni puntata.

Armi. Patrick non le usa mai, ma anche Colombo le usa raramente


Colombo è un finto sbadato, che non morde subito  ma non molla mai l’osso. Le sue indagini sono come una goccia che cade e pian piano deforma la roccia. Si presenta sempre nei momenti inopportuni e riappare come se perseguitasse l’indagato.
Come nei film di hichcok, anche qui l’omicida si vede quasi sempre all’inizio.
La storia è costruita perché Colombo scopra pian piano il colpevole in base agli indizi e ragionando sui fatti. Non c’è suspense, ma il telespettatore, che sa già chi è il colpevole, è accompagnato passo dopo passo alla scoperta dell’assassino.

Patrick Jane è un tipo apparentemente solare, anche se al fondo è segnato dalla tragedia.
Se prima di essa era un ciarlatano, ora è attento ai minimi dettagli, agli sguardi, alle parole, ai movimenti del corpo dei sospettati. Anche lui non tralascia i fatti e gli indizi, ma la sua capacità sensitiva lo aiuta e lo porta alla scoperta finale del colpevole.

Due investigatori di diverse epoche, Colombo è nato nel 1968, mentre The Mentalist ha visto la luce nel 2008. Dopo quarant’anni la scrittura del film è cambiata:  da giallo classico si è passati a crime’s telefilm che non si esaurisce nella singola puntata.

Se Colombo è un uomo maturo, certo, strutturato, l’investigatore che non sbaglia un colpo, Patrick è figlio della società del secondo millennio. In fondo è un uomo fragile, che ha avuto contraccolpi psicologici in seguito alla morte violenta dei suoi cari.
Ma è proprio questa la sua forza: la sua fragilità lo porta ad avere un’attenzione alla realtà ed alle persone, agli avvenimenti che accadono, ai particolari che normalmente sfuggono. Solo chi ha vissuto e vive il dolore ha queste capacità. È una capacità di giudizio che non si basa solo sulle intuizioni e sensazioni. Questo è  Patrick Jane, questo è il Tenente Colombo del  secondo millennio.

mercoledì 10 ottobre 2012

Celentano 2

http://www.ilsussidiario.net/News/Cinema-Televisione-e-Media/2012/10/10/ROCK-ECONOMY-Celentano-fa-centro-col-bis-le-pagelle-delle-due-serate/327890/



L’anteprima di ieri sera, ribadisco che  l’utilità  è quella di scaricare una fascia pubblicitaria per  incassare euri, era un collage della rassegna stampa tv e cartacea sul successo di ascolti del primo concerto di Adriano.
Un’Arena ancora strapiena, ha accolto J. Lui dopo il pippotto economico-sociale introduttivo dei  due attori. Ha corretto il tiro rispetto a lunedì: quattro canzoni a raffica come inizio, un madley sulla base di Ringo, il Ragazzo della via Gluck cantato dall’Arena e suonato acustico.
Il secondo blocco riparte con Yuppi du, ballata dal corpo di ballo ma cantata fuori scena da Cele e poi è si è lanciato con il suo sermone economico-verde-social-cristiano. Adriano  con funzione di aggregatore, ha parlato dell’unità che manca, del progetto e dello scopo che è assente, della bellezza e dell’arte che è stata uccisa ma che viene da Dio. Al momento opportuno, senza tirar troppo la corda ha cominciato tra i ballerini e la musica a impersonare J.Lui. Un sermone musicale dove le luci e il corpo di ballo hanno dato il massimo. Ha dato un po’ di gloria agli amici del Clan, un altro breve sermoncino e  poi un  Pregherò abbastanza stonato ma appassionato.
Non poteva mancare Gianni Morandi che ha ironizzato sugli ospiti della serata precedente. Una spalla eccezionale che ha avuto la sua apoteosi con  l’interpretazione dell’omaggio a Lucio Dalla.
E poi ancora canzoni del vecchio repertorio, quello più famoso, da solo e insieme a Morandi.
Azzurro ha fatto sussultare tutta l’Arena.
Un Cele sciolto e rilassato, contento e divertito, appassUn altro concerto rispetto a lunedì. Il pubblico ha gradito, è stato coinvolto, ha cantato, ha applaudito, ha fatto la ola, si è alzato in piedi a rendere omaggio, standing ovation  a Lui.
Alla fine si è permesso di fare due salti sul suo rock’n’roll, come se gli anni non fossero trascorsi per Lui, scherzandoci poi sopra.
Qualche volta ha sbagliato i testi, ma si è corretto in maniera ironica, alla sua maniera. Reattivo e simpatico, mentre sugli spalti molti suoi imitatori si esibivano nelle vesti di Molleggiati. 
Una serata completamente diversa dalla prima.

Ecco i voti agli ingredienti delle due serate.
Celentano. Nella seconda serata si è dimostrato sempre il più grande. Se lunedì è stata una sorta di prova generale, ieri sera è stato un grande show. Ci voleva la terza serata. Voto 8, grazie Cele !!!
Fischi. Quando Cele non canta il popolo fischia. Voto 8, concordo con il popolo.
Ovazioni. Quando canta è osannato dal popolo. Voto 8, concordo con il popolo.
Regia. Nella seconda serata, Paolo Beldì, ha preso  per mano le telecamere e ha ravvivato la visione per i telespettatori. Voto 6 (media con il 4 della prima serata).
Scenografia. Enorme, bella, forse poco valorizzata dalle riprese tv. Voto 7, si completa con l’Arena.
Luci. Pulite, intense, ottime, senza sbavature. Voto 8, concentrate e a pennello per Lui.
Arena. Location magica per un concerto. A San Siro può suonare solo Bruce, a Verona Cele è il massimo. Voto 8
Cappello. Due serate con una coppola di lana a maglia larga con paillettes. Giacca. Lunga con mezze maniche a campana. Voto 8, gli stilisti dovrebbero imparare da Lui (J.Lui).
Gobbo elettronico. Cele canta leggendo i testi su uno schermo tv. Mio figlio c’è rimasto male, ma Lui a 74 anni  può permetterselo. Voto 7
Ballerina di colore. Brava, bella, slanciata sensuale. Voto 8, cercasi il suo numero di telefono.
Fans. Se la prima sera han fischiato, ieri son stati coinvolti dando il meglio. Voto 8, chi paga ha sempre ragione, soprattutto se adora il Cele.
Canzoni. Se nella prima serata sono state richieste fischiando, ieri non sono mancate. Voto 8, quando canta (stecche comprese) Cele è sempre grande.
Titoli di coda. È l’unica volta che siamo riesciti a leggerli. Adriano ha pensato anche a questo. Voto 8, tutte le maestranze ringraziano.

martedì 9 ottobre 2012

Celentano 1




Era da cinque anni che Mediaset non raggiungeva questi ascolti: uno share medio del 31,8% con 8.917.000 telespettatori. Un successo. Adriano ha raggiunto il massimo dell’ascolto alle 23.08 con il 41,4% di share cantando con il sodale Morandi.
La cornice è suggestiva, l’Arena di Verona è una location che straccia gli stadi e i teatri. È un luogo magico. La scenografia è mastodontica ma intrigante ed il gioco di luci bello ed efficace.
Economica e musica, Celentano e pippotti economici. Il furbo Adriano, interseca la sua musica alla situazione disastrosa attuale in cui viviamo, condannando la classe politica. Populismo alla Grillo?  Non lo so, la parola agli esperti. Preferisco ascoltare le canzoni del Molleggiato.
In tv abbiamo visto un’anteprima per scaricare la fascia pubblicitaria, direi la vera sigla, veramente inguardabile, brutta, violenta. Dopo gli spot inizia la serata  tv  con la veduta (banale) di Verona dall’alto con due attori che recitano un sermone del nostro. Poi finalmente entra lui, anzi Joan  Lui, e attacca con Svalutation. Passa al rock’ n’roll, e ad una delle sue hit giovanili.  La Cumbia di chi cambia lo fa sedere al tavolo. Neppure J. Lui resisterebbe in piedi a questa brutta  canzone.  Bonolis, Tatangelo insieme a D’Alessio, Ramazzotti, Al Bano, il gotha di Mediaset, Mogol, il popolo  comune che ha esaurito da mesi i posti da 1 euro. Tutti esaltati per J. Lui.                    
Insieme alle canzoni sentiamo alcune sue stecche e alcuni sotto toni, anzi sotto sassi imbarazzanti. Gli errori non sono solo canori, anche la regia televisiva è imbarazzante. Tagli in asse, sfocature. Non c’è nessuna steadicam  sul palco e nessuna telecamera sotto il palco. Nessun primo piano del pubblico a parte qualche vip, ma soprattutto panoramiche dall’alto, che normalmente si usano per staccare  o per andare a nero. Qui vengono utilizzate come immagini normali. Sicuramente è una scelta di J. Lui. Le riprese sono tutte in totale. Esagerate.  Non si vuole che la tv interferisca con il concerto, deve solo cogliere l’evento senza spettacolarizzarlo. In questo primo concerto la firma del regista non c’è.
                                                                                                                          

Dopo il primo break, la regia aiutata dai balletti diventa più dinamica e pulita, osa di più. Ma Adriano ad un certo punto si ferma, qualcosa non va. Silenzio imbarazzante. Voluto? Non so.
Riprende con la chitarra e con Il ragazzo della via Gluck e l’Arena si infiamma.
Arriviamo al momento politico di Cele con l’economista Fitoussi e i gemelli Stella e Rizzo, fustigatori della classe politica e degli sprechi. Invitarli è di per sé da paraculi.       
Entra in scena anche Morandi ma il pubblico fischia l’economista che forse una cosa giusta la dice:       
Solo la bellezza ci potrà salvare.

E come se nulla fosse Cele e Gianni passano a cantare insieme.
Lo show continua e l’Arena applaude. 
La musica tira più dell’economia.
La pantera nera conclude la serata con un ruggito.

Peccato, per la poca musica. 
Mi aspettavo, dopo 18 anni di assenza un concerto più intenso.                                           

Dulcis in fundo, il backstage delle prove: avrebbe dovuto durare di più. Speriamo che la seconda serata sia più cantata.

giovedì 4 ottobre 2012

Martiri Cristiani in Giappone 2 - Il Crocifisso del Samurai




Rino Cammilleri
Il Crocifisso del Samurai
Rizzoli - 2009

Prima di passare a questo libro, leggete il phamplet storico SHIMABARA NO RAN. La grande rivolta dei samurai cristiani , scritto sempre da Cammilleri, vi aiuterà ad avere un quadro ben definito della situazione e del contesto in cui sono narrati i fatti che sono qui sono scritti.
È un romanzo storico che narra dell’amore tra la bella Yumiko ed il contadino Kato, che come tutto il popolino giapponese viene vessato dai daymo. Appartengono alla comunità cristiana che è perseguitata per il suo desiderio di libertà religiosa. La ragazza viene sfigurata e da qui si innesca la rivolta dei contadini cristiani. Guidati da l’Inviato del Cielo, un giovanetto di 16 anni, Amakusa Shirò, che una profezia aveva predetto come condottiero della rivolta, i quarantamila cristiani scendono sul sentiero di guerra. Si rifugeranno a Shimabara nella fortezza abbandonata di Hara. Resisteranno fino alla morte a 200 mila samurai armati ed addestrati. È il 1637.
Il libro si apre con paragrafo in cui circa duecento anni dopo un prete cristiano sta pregando nella chiesetta della sua parrocchia giapponese. Si accorge di non essere solo, una decina di donne minute lo circondano e lo interrogano chiedendogli se venera la beata Vergine, se il suo capo è il padre bianco di Roma, se è sposato oppure celibe. Scoprirà così che più di 10 mila giapponesi si sono tramandati la fede cattolica clandestinamente nonostante la mancanza della chiesa cattolica nei due secoli precedenti..

martedì 2 ottobre 2012

I Martiri Cristiani in Giappone 1




Rino Cammilleri
SHIMABARA NO RAN. La grande rivolta dei samurai cristiani 
I Quaderni del TIMONE


È un breve libretto storico in cui si racconta l’evangelizzazione e le persecuzioni dei cristiani in Giappone.
Nel 1549 il gesuita san Francesco Saverio mise piede sull’isola asiatica e capì subito che bisognava convertire  i signori feudali,  i daimyò.  Di riflesso, a tutta la popolazione sottoposta, veniva ordinato di abbracciare la fede cristiana. Nel 1570 in Giappone vi erano trentamila cristiani  che raddoppiarono nei dieci anni successivi. Il sistema economico e sociale si reggeva sulle tasse che i contadini e pescatori pagavano, nel bene e nel male, sia quando i raccolti erano buoni che quando erano scarsi a causa dei terremoti e carestie. I daimyò erano costantemente il lotta tra loro. Quelli che si convertirono lo fecero per un interesse economico, il commercio con i portoghesi  I cristiani vennero perseguitati sin dall’inizio ed osteggiati dai bonzi e dai vari signori feudali nemici dei signori convertiti. Quando un daimyò cristiano veniva ucciso la sua gente  veniva perseguitata  con feroci torture ed uccisioni di massa. Questa situazione portò nel 1637 alla rivolta dei samurai cristiani. Quarantamila credenti giapponesi, compresi donne e bambini, si ribellarono alle persecuzioni e si rifugiarono a Shimabara, nel castello diroccato di Hara. Sotto la guida del sedicenne samurai Amakusa Shirò, acclamato come profeta,  resistettero per cinque mesi ad un esercito addestrato e ben armato di duecentomila samurai. Vennero tutti massacrati e da quel momento il Giappone si chiuse a riccio per due secoli senza rapporti con il mondo esterno. Sakoku, paese chiuso.
Quando riaprì le porte agli europei, i missionari tornando  nell’isola (seconda metà dell'Ottocento), trovarono diecimila kakure kirishitan, cristiani nascosti, che di generazione in generazione, clandestinamente, si erano tramandati la fede cristiana. Le persecuzioni però continuarono, ai giapponesi non era permesso diventare cristiani e di entrare nelle chiese. Solo nel 1899 venne poi concessa la libertà di culto.
Nel prossimo post vi proporrò il libro Il Crocifisso del Samurai, romanzo storico che narra i fatti sopra citati.